Una ong assiste le compagne dei militari morti in guerra: «Non siamo vedove, ma mogli degli eroi caduti»
DAL NOSTRO INVIATO
ZAPORIZHZHIA — Maria da quando è morto il suo Artem tra le macerie di Mariupol prova una rabbia incontrollabile: contro gli altri che vivono, contro le sue amiche con i bambini, contro le coppie che si baciano in pubblico, contro i russi, ma anche contro ogni soldato. «Mi chiedo: perché doveva capitare proprio a noi? Perché lui è morto e gli altri vivono? E cosa ci fanno tutti questi uomini per la strada? Magari sono imboscati, magari hanno corrotto gli ufficiali del reclutamento!».
Maria Dolhopova ha 33 anni, nel 2021 aveva sposato Artem Verbovsky, due anni più giovane di lei e tenente maggiore del reggimento Azov. Di lui mostra dal cellulare gli ultimi messaggi che si scambiavano via Telegram nei giorni caldi della battaglia. «Mi diceva che i russi stavano vincendo, mancavano armi e munizioni. Loro stavano riparati nei sotterranei dell’Azovstal. Mi spiegava che con i suoi soldati avevano deciso che non si sarebbero arresi. Sapevano che i russi castrano e violentano i prigionieri, specie i volontari dell’Azov. Ma io speravo, se l’era cavata tante volte sin dalle battaglie del 2014. A fine maggio 2022 mi hanno detto che era morto sotto le bombe il 15 aprile, ma io continuavo a sperare, magari non era vero. Soltanto in settembre un suo comandante liberato in uno scambio di prigionieri mi ha spiegato come era morto. E da allora sono come sospesa tra la memoria e l’incertezza. Non so come uscirne. Mi aiutano i gruppi di vedove come me», racconta.
L’incontriamo assieme a Irina Herashinov, trentenne, insegnante universitaria e soprattutto fondatrice di «Kochanei Iajevu», che in ucraino significa «Amore mio io continuo a vivere», un’organizzazione non governativa finalizzata ad aiutare quelle che loro si rifiutano di chiamare «vedove di guerra», ma preferiscono definirsi «mogli degli eroi caduti». L’idea le era stata suggerita dalla sua amica 27enne Alona Prokopenko, il cui marito Ilia Voloshin, 32 anni, era a sua volta rimasto ucciso col fucile in mano, colpito da un drone russo lo scorso 30 ottobre sul fronte di Zaporizhzhia.
Come già Maria, anche Alona si era trovata da sola a dovere affrontare un vuoto immenso. «Con Ilia avevamo già parlato della possibilità che potesse morire. Ma in fondo credevo che sarebbe rimasto ferito, anche grave, mi ero attrezzata mentalmente a stargli vicina, a sostenerlo se infermo. Non però alla sua scomparsa improvvisa. Stavamo pensando di avere un bambino, lui suggeriva una banca del seme, giusto in caso. Ma non c’è stato tempo per niente: è morto prima», racconta Alona. Anche per lei è mancato il rito di passaggio del funerale. Maria aspetta ancora di ritrovare il corpo di Artem, pur se in realtà sa benissimo che è impossibile.
I russi hanno scavato decine di fosse comuni nella zona di Mariupol, molte non sono neppure segnate sulle carte. Si sono ritrovate a chattare la loro disperazione nelle lunghe serate di dolore su un blog locale. «Lo Stato sostiene i genitori anziani e i figli piccoli dei caduti, offre aiuto finanziario e sostegno psicologico, ma non fa nulla per le fidanzate o le mogli. Abbiamo capito che dobbiamo sostenerci tra noi», spiegano.
Un grande aiuto è venuto dallo scambiare idee e suggerimenti. Quando Irina ha visto il tono dei messaggi ha chiesto consiglio alla madre Viktoria, che a 58 anni è un’affermata psicologa di Zaporizhzhia ed è stata lei il motore primo dell’organizzazione. «Ci siamo mosse seguendo il principio per cui non si mira a dimenticare il passato, occorre dare tempo al dolore di sedimentarsi e poi capire quando è possibile tornare a fare progetti per il futuro. Il processo di cura inizia quando si comprende che la perdita del proprio caro non è la fine della vita», dice Viktoria.
Più facile dirlo che farlo. Maria continua a frequentare gli ex commilitoni di Artem. «Un giorno mi sposerò, credo con un soldato che può capire il mio dolore e avrò dei figli, ma voglio che sappiano chi era Artem e il motivo per cui è morto», spiega. Loro sono lo zoccolo duro dell’Ucraina che resiste. Non concepiscono che le terre per cui sono caduti i loro cari possano eventualmente restare ai russi. Dicono: «La via per la pace passa per la liberazione dell’Ucraina occupata».
...À une époque pas si lointaine, l’adjectif qualificatif "national" était fréquemment utilisé po Lire la suite
ce sera très drôle! Lire la suite
...vous vous bouchez les yeux quand il s'agit d'identifier les VRAIS responsables de la situation Lire la suite
Les propos de Crusol sont gravissimes .C'est néanmoins une analyse originale qui mérite qu'on s'y Lire la suite
Rien de plus facile que de modifier la constitution. Lire la suite